Zimin
Gorislav capitano dell'esercito della federazione Russa, per la prima
volta al comando di una missione operativa, cammina lungo le strade
di Ostvosk. La figura alta e slanciata, il passo lungo e atletico,
quasi contrastano con l'uniforme da campo lurida e strappata.
Il
cielo intensamente azzurro sembra eternamente lontano dai fabbricati
disabitati, scrostati, popolati da topi che si rincorrono e insetti
vagabondi. Gli uccelli volano tra schegge dei vetri che testimoniano
un passato che comprendeva le finestre; entrano e escono da locali
dai pavimenti e muri ricoperti di muffa.
Il
capitano Gorislav deve rallentare; erbe selvatiche e infestanti hanno
abbracciato l'abbandono della città e in alcune aree raggiungono
l'altezza delle ginocchia. In periferia il profilo dell'orizzonte è
tracciato dalle linee dei complessi industriali corrosi e ossidati.
Zimin
conta i morti. Vivi sono rimasti in pochi, per ora; nella sua mente è
certo che la fine è vicina anche per lui.
I
suoi occhi fissano la realtà ma il cervello non la vede. I neuroni
puntano all'inizio di tutto questo; un brillante ufficiale in
carriera desiderato al centro di Mosca nel cuore del potere.
Le
cellule cerebrali vedono di nuovo l'immutabile arredamento degli
uffici del Cremlino; pareti rivestite con pannelli di legno scuro,
alle finestre spesse tende trasformano la luce del sole in pallida
luminescenza. Le porte ricoperte da ampie imbottiture ricordano
l'importanza della discrezione.
Il
capitano Gorislav Zimin, irrigidito nell'uniforme di servizio, pensa
all'eterna monotonia degli uffici ministeriali; tutti invariabilmente
simili e osserva la persona che lo ha convocato, Ariy Grishin. Il
ministro per l'energia.
Grishin
siede dietro una massiccia scrivania, sprofondato in una imponente
poltrona in velluto rossa che sembra ingoiarlo; sfoggia completo
grigio e camicia bianca, l'abbigliamento di ordinanza del politico
medio.
Una
sola nota di personalità: la cravatta blu elettrico con decorazioni
astratte gialle. Una recente abitudine dei grandi burocrati per
sembrare simili ai comuni cittadini.
Per
il resto è una persona di statura media, dal fisico appesantito e
poco tonico che ha silenziosamente e spietatamente scalato il sistema
politico.
Con
le mani leggermente sudate apre il coperchio di un carillon verde
posizionato quasi al centro della scrivania, accanto a dei fogli
scarabocchiati con grafia incomprensibile.
Il
capitano Zimin è bene informato; la scatola musicale è per ora un
raro simbolo di potere. Poche persone la posseggono.
Non
produce suoni. Al suo interno ora brilla una minuscola luce verde; il
ricedisturbatore è attivo. Garantisce la solitudine
elettromagnetica; tutti i dispositivi di comunicazione e spionaggio
diventano sordi e ciechi. Riservatezza assoluta.
Il
ministro è di poche parole:
<caro
capitano; abbiamo l'esigenza di ripristinare delle attività nella
città industriale di Ostvosk. Diversi tentativi hanno avuto
conseguenze spiacevoli e non sono andati a buon fine. La questione
riguarda l'uranio, è una priorità nazionale>
Una
pausa, sospira e fissa intensamente l'ufficiale silenzioso:
<
tra 48 ore assumerà il comando di una squadra speciale. Sarete
elitrasportati in quella località. Dovete mettere in sicurezza
l'area>
Il
politico Grishin apre un cassetto e con un gesto studiato estrae un
fascicolo; incollata sulla copertina con bave di ceralacca rossa la
busta con gli ordini.
<
eccole il rapporto relativo alla situazione e le disposizioni di
servizio. Può andare >
Il
guerriero Zimin scatta in piedi; prima una stretta di mano e poi il
saluto militare.
Rapidamente
si allontana. Oltre un ora di anticamera per una conversazione di
circa 5 minuti.
Luci
fluorescenti, schedari grigi e scrivanie economiche bianche. Gli
uffici del comando della difesa territoriale alla periferia di Mosca
sono l'antitesi di quelli del Cremlino. Sembrano la sede di una banca
o di una società finanziaria.
Gorislav
è seduto disordinatamente sopra una sedia girevole blu, dondola
pigramente e oscilla a destra e sinistra. Ha tra le mani il
fascicolo, legge lentamente e riflette.
Le
faccende riguardanti l'uranio sono sempre molto, troppo, serie;
conducono direttamente alla spina dorsale della economia della madre
Russia. Nel 2037 il trattato di Buenos Aires ha stabilito
l'abolizione delle emissioni inquinanti in atmosfera.
Alle
ciminiere fumanti è rimasto un arco di tempo di 3 anni per sparire;
le nazioni che dispongono di tecnologie per la produzione di energie
rinnovabili e impatto ambientale zero non hanno problemi.
Per
gli stati entrati da poco nella loro personale epoca industriale sono
dispiaceri; una clausola del trattato stabilisce che i paesi che non
si adeguano dovranno pagare pesanti dazi nell'esportazione delle loro
merci e manufatti di qualsiasi natura essi siano.
Una
condizione che li trasforma informalmente in colonie sporche in balia
di coloro che posseggono l'evoluzione tecnologica.
La
gente del Cremlino offre una alternativa; energia nucleare russa con
servizio completo.
Installazione
e avviamento delle centrali, fornitura del santo combustibile uranio
e per finire ritiro e neutralizzazione delle sgradite scorie
radioattive.
L'aria
rimane pulita e i dazi sono un ricordo. In cambio di questa generosa
assistenza la federazione russa chiede rapporti commerciali agevolati
e privilegiati, libertà di installazione di basi militari,
manodopera e se necessario mercenari destinati al tritacarne dei
perenni conflitti a bassa intensità che circondano la federazione.
Lunga
vita e prosperità alla grande Russia e ai suoi indiretti feudi. Per
questo il capitano Zimin ha imparato a nominare il signor uranio con
deferenza e solo se necessario.
I
rapporti e le fotografie ricostruiscono la vicenda.
Ostvosk
è una città segreta. Alla fine degli anni cinquanta, all'apice
della guerra fredda, accanto a una miniera di uranio a cielo aperto
sono costruiti, nascosti nella viscere della terra e ricoperti da
boschi, 7 reattori nucleari per la produzione di materiale destinato
a armare ordigni atomici.
Per
l'amministrazione sovietica miniera 12, impianto 39; quasi un gulag
dove inviare persone indesiderate, dissidenti e criminali comuni.
Dopo anni seguono scienziati e tecnici specializzati.
Nasce
la città, mai indicata sulle carte geografiche, e cresce fino a
essere popolata da 70.000 abitanti; poi l'Unione sovietica si
dissolve.
Impianti
fermi e miniere chiuse; stipendi congelati. Ostvosk rapidamente si
svuota, abbandonata e dimenticata.
In
molti la conoscono ancora con il nome di “città senza figli”;
gli elevati livelli di radioattività e la presenza di masse di
sostanze tossiche hanno provocato aborti e la nascita di neonati con
gravi malformazioni morti tutti nel giro di poche ore.
In
quel luogo non sono mai cresciuti bambini e molte madri e futuri
padri hanno conosciuto la follia del dolore.
Ora
ha la possibilità di essere di nuovo utile. Gli impianti del
ministero per l'energia sono in grado di trattare solo una minima
parte delle scorie radioattive prodotte dalla clientela;
ufficialmente questa è una realtà innominabile.
Dietro
lo scenario della finta trasparenza i residui sono accumulati in
luoghi remoti, sconfinate discariche radioattive.
Miniera
12 e impianto 39 possono contenere migliaia di tonnellate di
materiale irradiato. Inizia l'operazione di ripristino e conversione
di Ostvosk. Il ministero invia in successione 3 gruppi di tecnici e
attrezzature per effettuare i lavori ma i componenti di tutti i
gruppi decedono sul posto.
I
rapporti sono confusi, contraddittori; omicidi, suicidi, incidenti
anomali. La relazione conclusiva ipotizza azioni di terroristi o
infiltrazioni di agenti stranieri inviati con lo scopo di colpire
l'economia russa.
Questi
motivi richiedono l'intervento delle forze armate; deve essere
ripristinata la sicurezza dell'area e i nemici dello stato
annientati.
Il
capitano Zimin posa il fascicolo sulla sua scrivania immacolata; lo
osserva come un oggetto alieno penetrato all'improvviso nella sua
esistenza. L'ufficiale ha una espressione preoccupata.
La
sua carriera è semplice, quasi ereditaria. Agosto 1991; durante il
tentativo di colpo di stato un oscuro sottufficiale anziano e suo
figlio un anonimo giovane tenente si schierano con Boris Eltsin. La
parte è quella giusta, prevale, e il tenente Zimin diventa
progressivamente importante. Sviluppa la sua carriera legandola alla
politica. Ha un adorato unico figlio: Gorislav.
Con
l'aiuto del padre, congedato dall'esercito e diventato dirigente di
gruppi finanziari legati agli oligarchi industriali, il giovane
Gorislav entra nelle forze armate amorevolmente protetto.
L'uomo
che deve guidare un gruppo di militari scelti nella misteriosa
località di Ostvosk non ha mai avuto incarichi operativi; solo
divertenti esercitazioni giusto per rompere la monotonia del tempo
trascorso in ufficio.
Ora
deve sospendere il suo ultimo e comodo incaricato di addetto
all'organizzazione di operazioni particolari finalizzate
all'assistenza ai veterani; almeno così è presentato in pubblico.
Esistono
gruppi di militari che accumulano azioni cruente oltre ogni limite;
imbottiti di farmaci e con le vene spaccate dalle iniezioni di
stimolanti. A volte dopo mesi, in altri casi in qualche anno, sono
completamente incontrollabili, dediti a ogni genere di violenza e
devastazione nei confronti di chiunque.
Secondo
una circolare del ministero della difesa conviene trasferirli in
località remote della federazione, lontano dai guai. Gorislav Zimin
organizza con attenzione convogli ferroviari e autocolonne per il
loro trasferimento.
Esegue
gli ordini; anche quello strettamente verbale che pochi conoscono e
nessuno osa scrivere.
Treni
e autocarri hanno sempre malaugurati incidenti che provocano il
decesso di tutti coloro che sono a bordo. Comunicato ufficiale,
funerali di stato e picchetto d'onore.
Tanti
soggetti imbarazzanti in grado di divulgare storie innominabili
riposano in pace, per il bene di tutti. Una generosa assicurazione
rimborsa i famigliari dei caduti.
Il
premio assicurativo di coloro che non hanno nessuno disposti a
piangerli e ricordarli transita direttamente nel conto corrente di
Gorislav e degli altri organizzatori.
Un
extra concesso dal governo per stimolare silenzio e menzogne.
Maledice
silenziosamente chiunque abbia deciso di coinvolgerlo nelle faccende
dell'uranio e sospetta la vendetta trasversale di una fazione opposta
a quella dell'illustre genitore; troppo tardi per inventare una
ritirata.
Ha
una sola scelta: andare avanti.
Trascina
il resto della giornata in chiacchiere con i colleghi, quando è solo
prende a calci qualche sedia; tenta di scaricare la tensione.
Per
distrarsi si reca a Mosca nei quartieri dove al tramonto la luce del
sole è sostituita dalla luminosità di fantasmagoriche insegne.
La
meta è il suo locale preferito; Reserve Club la discoteca dei
giovani rampanti e di famiglia importante. Gli eleganti energumeni
posizionati davanti all'entrata lo conoscono bene e lo fanno entrare
con grandi ossequi.
Si
unisce alla sua solita compagnia di finanzieri corrotti, ricchi
sfaccendati e ufficiali arroganti. Musica, stupefacenti, vodka e
donne in vendita; una sera e una notte sfrenate, indimenticabili.
Quando
sfiancato esce dal Reserve Club lungo le strade trova quasi
esclusivamente gli addetti alla raccolta dei rifiuti. La primavera è
appena iniziata, la brezza notturna pungente lo riporta in parte alla
realtà.
Incrocia
rari passanti, ognuno rinchiuso nel loro mondo. Una giovane donna dai
lunghi capelli biondi vestita con formali giacca e gonna blu lo
scruta; sembra la classica ragazza troppo per bene finita fuori posto
per qualche motivo misterioso.
Generalmente
le signorine come si deve quando lo incontrano abbassano lo sguardo;
il capitano lo trova divertente. Ma questa gli passa accanto, lo
sfiora e sostiene la sua vista con un paio di occhi più oscuri che
neri.
Gorislav
ha la sensazione di averla incontrata altre volte, ma non riesce a
ricordare dove e per quale motivo; forse è semplicemente la
conseguenza degli eccessi appena compiuti.
Raggiunge
l'elegante abitazione da scapolo e si lancia sul letto vestito, con
l'uniforme spiegazzata e macchiata di whisky e caffè. Il sonno lo
avvolge rapidamente.
Immobile
in un grande prato di erba ingiallita; l'orizzonte è una linea
perfetta che segnala la base del cielo azzurro. Una donna vestita con
una tunica bianca avanza verso di lui; è ricoperta da un sottile e
raffinato velo verde.
Si
avvicina e nella trasparenza intravede i lineamenti della ragazza
incontrata qualche ora prima in strada; poi il cielo diventa nero e
liquido come il catrame e il velo si squarcia.
Ha
di fronte un orso grigio e bianco dagli occhi neri; la bocca
spalancata e il muso sono macchiati di sangue fresco caldo e fumante.
L'animale è gigantesco e eretto, tra gli artigli tiene un teschio
ingiallito ricoperto di macchie viola. Gorislav si sveglia sudato,
con i muscoli irrigiditi e nelle narici percepisce un inspiegabile
odore di morte.
Un
altro incubo, pensa; ricorda la nonna, nota anche come sensitiva, che
racconta storie di esseri mitologici e riti perduti. Forse, anzi
certamente, i ricordi dell'infanzia tornano nel sonno alcoolico.
Tutto
destinato all'oblio; prima per allinearsi all'ateismo scientifico
dello stato Sovietico e ora per rispetto alla religione Ortodossa e
al potente zio pope.
La
pioggia fine primaverile scende da nuvole grigie; bagna il cemento
screpolato delle piazzole di un eliporto nelle vicinanze di Mosca.
Hangar dai portoni metallici ossidati sono ricoperti da terriccio e
erba; il loro profilo sfuma con i campi all'orizzonte.
Un
grosso elicottero da trasporto è pronto al decollo; colorato in
arancione sbiadito e bianco sporco. Codice di immatricolazione civile
dipinto sulle fiancate con vernice nera ancora quasi fresca.
Militarmente
la missione non esiste. Il capitano Zimin nella cavità di un hangar
vuoto studia i 14 componenti della squadra al suo comando. Hanno
levato le insegne dalle divise, provengono da unità e istituzioni
diverse; ogni diramazione del potere vuole essere rappresentata nelle
situazioni critiche.
Sorveglianza
reciproca e forse tenteranno di ammazzarsi tra di loro; oppure il
bersaglio potrebbe essere lui, Gorislav. Le strade pratiche della
politica sono sempre tracciate con il sangue.
Una
certezza. Lo guardano e dietro i volti seri ridono. Le loro uniformi
da campo sono pulite ma sbiadite, vissute in tante operazioni. Quella
di Zimin è nuova, forse indossata per la prima volta; hanno già
intuito che il loro comandante è al primo vero incarico operativo,
un principiante.
Tra
di loro il vicecomandante; il tenente Raisa Bogdanov. Una donna
giovane, dalle spalle robuste e dai modi decisi.
Salgono
sull'elicottero e il capitano osserva il posteriore del tenente
Bogdanov. Tutto sommato una serata con lei potrebbe essere
interessante. Prendono posto sui seggiolini in tessuto disposti lungo
la fusoliera e posizionati per l'occasione. Al centro zaini e
equipaggiamenti trattenuti da grosse reti arancioni.
In
volo accompagnati dal rumore quasi assordante delle turbine
oltrepassano le nubi e dai finestrini entrano caldi raggi di sole. Il
tenente inserisce la testa in una cuffia del circuito
intercomunicante e con un gesto convenzionale indica al capitano di
fare la stessa cosa.
La
donna ha un piccolo zaino personale giallo; Zimin la osserva mentre
estrae un fascicolo simile a quello ricevuto dal ministro per
l'energia. Ha un sussulto interiore che maschera a fatica, sente il
sudore colare lungo la schiena.
La
documentazione in possesso di Raisa Bogdanov è più spessa di quella
che lui ha a disposizione, sono almeno 10 millimetri di fogli in più;
un segno importante, di potere.
Il
secondo al comando ha maggiori informazioni; politicamente è più
forte del capitano.
La
voce distorta dall'intercomunicante.
<capitano
desideravo informarla che nelle operazioni di scavo di Ostvosk sono
state recuperate delle steli e altro materiale archeologico risalente
ai pagani slavi. Si tratta di reperti risalenti all'epoca precedente
il cristianesimo. Secondo gli archeologi in quell'area sono presenti
i resti di diversi templi sacri per quelle ormai lontane popolazioni.
Per il resto penso che sia a conoscenza di tutta la situazione in
dettaglio>
<grazie
tenente. Sono convinto che gli incidenti siano opera di criminali
comuni o sabotatori; comunque i programmi industriali delle
federazione non si fermano per leggende o speculazioni di archeologi>
<concordo
capitano, grazie per l'attenzione>
Atterraggio
nei resti di un campo da calcio; trasporto di equipaggiamenti e
attrezzature nel vicino centro scolastico. Un edificio relativamente
in ordine; a Ostvosk le scuole non sono mai state frequentate.
Nelle
aule le spedizioni precedenti hanno ricavato alloggi e lasciato
parecchio materiale. Considerato il contesto dal punto di vista
logistico le condizioni sono discrete.
Perlustrazioni
e pattuglie nel vuoto umano della città abbandonata. Tutti hanno la
possibilità di vedere i reperti archeologici ora accumulati nel
grande spazio cavernoso e artificiale dell'impianto 39.
Diverse
steli di svariate altezze con disegni e incisioni incomprensibili. Il
retaggio di una culture latente nell'anima delle persone e repressa
da secoli fino a disconoscerla o ignorarla. Tra tutti i militari del
drappello nessuno le trova interessanti.
Presidio
del nulla; vento e polvere. La strumentazione registra metodicamente
la sola invisibile compagnia.
Radiazioni
con valori che oscillano tra appena oltre il tollerabile per un
organismo umano e quantità che superano le capacità di misura
delle apparecchiature. La periferia di Ostvosk si disperde
gradualmente in una foresta di querce dall'aspetto anemico e triste;
anche loro accarezzate dal soffio dell'uranio.
Giorni
che non portano scoperte o novità; un altra mattinata scivola lenta,
in nome del dovere. Spari seguiti da un tempo indefinito spezzato da
urla.
Gli
ufficiali Zimin e Bogdanov escono correndo dall'edificio scolastico e
guidati dalle voci raggiungono il luogo dove ha preso la parola un
arma da fuoco.
Un
corpo a terra mostra fori di proiettile all'addome e al cranio. Nel
petto sventrato del cadavere è conficcata una vecchia vanga
arrugginita; il sangue colora l'asfalto di rosso.
Il
capitano, sforzandosi di mantenere la calma, si rivolge ai militari
presenti.
<Maledizione,
che cosa è successo?>
Risponde
per tutti un soldato scelto dal volto teso e sospettoso.
<il
sergente Kasputin è impazzito. Ha ucciso il soldato Belov e ha
estirpato il suo cuore, come può vedere lei stesso. Poi è fuggito
urlando frasi senza senso.>
La
voce preoccupata del tenente.
<avete
idea dove sia andato? Che direzione ha preso?>
La
risposta alla sua domanda non tarda. Una voce irrompe dal balcone
scalcinato di uno dei tanti edifici abbandonati; sopra il sergente
Kasputin recita una litania in una lingua incomprensibile.
Ha
le braccia alzate; in una mano è evidente la pistola d'ordinanza.
Con l'altra brandisce il cuore del soldato Belov e lo sventola come
un fazzoletto.
Raisa
Bogdanov lo osserva e urla verso di lui.
<sergente,
si calmi. Provi a calmarsi. Lei rimane fermo dove si trova e io salgo
a prenderla, d'accordo?>
Il
sottufficiale interrompe il delirio, abbassa lo sguardo verso la
strada. A voce alta e comprensibile risponde.
<tenente
non è il caso che si scomodi. Scendo io, immediatamente>
In
silenzio si lascia cadere nel vuoto. In pochi secondi i commilitoni
si spostano e il suo corpo impatta al suolo. Rumore di ossa compresse
e spezzate; morto all'istante.
Da
una delle tante profonde crepe che sfregiano il cemento dei
marciapiedi emerge un enorme sciame di formiche e avvolge il cadavere
in un sudario di insetti.
All'arrivo
della notte gli ufficiali sono tesi, non dormono. I soldati hanno
incubi. Nessuno lo dice esplicitamente ma l'accaduto sembra
associabile a entità sfuggenti o alla pazzia indotta
dall'inquinamento che logora il corpo e confonde la mente.
Silenziosi
tutti ricordano le chiacchiere da caserma e i rapporti. Forse esiste
un infido morbo di Ostvosk, nemico invisibile e spietato impossibile
da combattere solo con la forza e il coraggio.
L'alba
di un altro giorno; il caporale Mishin, un gigante dalla muscolatura
poderosa, è scomparso. Lo trovano all'interno dell'impianto 39
rigido e abbracciato a una stele. Morto dissanguato con le vene
recise all'altezza dei polsi. Accanto ha il coltello tattico e i
lineamenti del volto deformati in una maschera carnevalesca.
I
componenti della squadra sono agitati. I pessimi sogni notturni sono
accompagnati da visioni in pieno giorno. Serpenti con tre teste e
grossi uccelli con testa di drago; voci che sussurrano in lingue
sconosciute.
Tutti
vedono un branco di cani alati che si dissolve volando verso il sole.
Subdola
arriva la paura degli altri; il terrore di essere assassinati dai
commilitoni impazziti. Sorveglianza reciproca non dichiarata. Il
capitano è consapevole che scrivere o inviare rapporti non serve.
Le
forze armate non sono disponibili a dare credito a eventi del genere.
Nessuno
ha più visto il tenente Bogdanov. Seguono delle orme tracciate nella
polvere inquinata e poi impresse nel terreno.
Buona
dimostrazione di capacità operativa con risultati rapidi. Raisa è
tra le querce, seduta con la schiena appoggiata a una pianta. Rivoli
di sangue colano da naso e orecchie e il cuore è fermo per sempre.
Morte
inspiegabile. Zimin nota che le è scivolato il berretto e una massa
di splendidi capelli neri è libera mossi da una leggera brezza.
Un
corvo plana veloce; posa le zampe accanto ai resti della donna e
inizia a strappare piccoli pezzi di carne da una mano esangue.
La
pelle è rigata da venature simili a quelle del legno.
Asserragliati
nella scuola la coscienza di ogni singolo individuo ha compreso che
sono gli anelli di una catena nelle mani della morte. Allora decidono
di allontanarsi, disertano ognuno in direzioni diverse nella speranza
di ritardare il più possibile la fine della loro esistenza.
Il
capitano non li biasima e non tenta di fermarli; pistola in pugno
vaga per la città deserta alla ricerca di qualche indizio. Cerca un
nemico da guardare negli occhi. Il cervello non vuole più pensare al
prima. Tutte le energie mentali sono concentrate nel tempo presente;
tentano di rallentarlo.
Le
spiegazioni razionali non esistono. Il capitano Gorislav Zimin tenta
di lasciarsi guidare dall'intuito.
Raggiunge
lo scheletro di un edificio; è quanto rimane dell'ospedale. Cammina
nei corridoi, qualche cartello, sbiadito, ha opposto resistenza al
tempo. Attraversa i reparti di maternità e pediatria. Nota che con
della vernice gialla una mano anonima ha tracciato dei nuovi nomi:
obitorio e cimitero.
Esce,
percorre un labirinto di strade vuote. Raggiunge la periferia e si
inoltra tra le querce.
Stanco,
sudato si ferma al riparo della provvidenziale ombra di uno degli
alberi. Riprende fiato e cerca di mettere ordine nei pensieri.
Una
visione. Le querce cambiano aspetto e Gorislav è circondato da donne
vestite con tuniche bianche e coperte con veli verdi, come nei suoi
sogni.
Non
dorme, è sveglio e orientato. Sente le loro presenze, lo circondano
ondeggiando leggiadre.
Cantano
un litania, comprende le parole. Celebrano le schiere di Igor; una
voce senza tono entra nella sua mente e lo avverte.
<non
usare la pistola. Non farlo. Con noi è inutile>
Rimane
immobile. Vuole allontanarsi, ma le gambe sono paralizzate.
Una
di loro si avvicina. Pochi centimetri dal suo volto e improvvisamente
riconosce una persona quasi dimenticata. Vera Doronin. Lo stesso viso
della giovane donna incrociata nell'ultima notte moscovita.
Un
giovanile innamoramento passeggero, poi si sono persi di vista.
Sotto
il velo è ancora giovane, il tempo non la ha scalfita; parla con
dolcezza.
<Gorislav,
mio caro; ricordi di noi ora?>
Risponde
con voce flebile.
<si,
ma non capisco. Perché... la tua presenza, in questo modo e tutto il
resto>
<ora
comprenderai, mio capitano. Desidero spiegarti. Questo è un luogo
pervaso da energie spirituali. Prima di voi e di tanti altri qui
sorgevano i templi dedicati a Svarog e alla sua schiera. Sono gli déi
che proteggono il nostro, il tuo, popolo.
Poi
gli umani hanno fatto false scelte rinnegando da secoli il vero
credo. I templi sono rimasti sotto la protezione della terra e la
forza di Svarog e i suoi fedeli si è trasferita nell'universo.>
L'ufficiale
è sconvolto; La voce di Vera prosegue.
<E
alla fine avete scavato e profanato anche quello che rimaneva dei
segni di devozione ai vostri protettori. Per avidità, ingordigia,
egoismo avete sporcato la madre terra. Siete stolti al punto da
colpire con la vostra malvagità la vita nascente>
Nel
tempo di un lampo il capitano Zimin ricorda una delle leggende della
nonna. Le Vile; esistono, sono loro.
Sono
gli spiriti sopranaturali delle donne che hanno perso i figli o che
si sono suicidate; assumono sembianze impensabili, hanno poteri
magici e amano fedelmente la vendetta. Miniera 12 impianto 39, il
nucleo della città senza figli; l'origine delle Vile di Ostvosk.
Ora
sono strumenti dell'ira di Svarog e degli déi legati alla sua
essenza. E la sua squadra, e quelle precedenti, ne hanno subito le
conseguenze.
<sento
capitano. Percepisco il tuo animo, ora tutto è chiaro>
<Vera,
perché anche tu sei qui? Come sei finita a Ostvosk?>
<molto
semplicemente. Anni, il tempo passa, ma è ancora reale. Tu rientri
in accademia e io svanisco dalla tua memoria; per un brillante
cadetto sono un intermezzo divertente. Fine.
Io
credo nel tuo amore. Ma le mie implorazioni non ricevono risposta;
per l'uomo che amo sono invisibile.
Vado
alla villa del tuo illustre padre e chiedo la sua benevolenza. Lui
ride. Una brava ragazza studiosa che vive nei block alla periferia di
Mosca non può aspirare al matrimonio con il rampollo di una famiglia
emergente.
Mette
mano al portafoglio, chiede alla piccola Vera quanto costa. Come una
sgualdrina.
Urlo.
Ho nel grembo una vita concepita con Gorislav.
Allora
il generale e uomo d'affari Zimin afferra il telefono e chiama le sue
personali guardie del corpo.
Trascinano
Vera nell'autorimessa. Spiegano che deve sparire e arrangiarsi in
silenzio con il piccolo bastardo che attende. Due uomini e una donna;
individui freddi, muscolosi e spietati.
Strappano
i vestiti della studentessa timida e a turno si divertono con lei, la
donna guarda e ride. Alla fine è senza forze distesa sul pavimento
gelido; allora la gentile signora si avvicina e la colpisce con una
infinità di calci all'addome. Poi la buttano in strada>
L'uomo
Gorislav Zimin balbetta; la gola è secca e le corde vocali
doloranti.
<non
sapevo. Non lo avrei mai permesso...>
La
Vila lo interrompe.
<non
volevi sapere. Esisti solo per il tuo compiacimento. Non proferire
inutili giustificazioni; questo è il mio mondo e non puoi dare
ordini o imporre condizioni. Ora devi ascoltare, non ho finito.
La
ragazza perde la creatura e la dignità. Deve però andare avanti,
nel piccolo appartamento inserito in alveare di cemento scolorato la
attende un padre malato e vedovo; lei deve occuparsi di lui.
Vera
trova un lavoro; World Wide Contractor la più grande compagnia
mondiale di mercenari. Impara, combatte per nessuna e cento bandiere
e guadagna. Ma per lei è importante solo la rabbia, è una perfetta
guerriera. Suo padre lascia questo mondo; sola, opera nel sud est
asiatico per importanti clienti non istituzionali. Triadi, yakuza e
qualche movimento politico.>
Con
la bava alla bocca l'ufficiale esprime i propri pensieri.
<forse
hai agito con l'armata e a volte contro di noi. Siamo amici, nemici?
Cosa siamo?>
La
entità che ora è Vera risponde con voce allegra, divertita.
<siamo
amanti, mio caro. Per questo racconto tutto, non posso avere segreti
con il mio bellissimo uomo. Dopo tante gole tagliate e vite
interrotte desidero la pace interiore. In un antico quartiere delle
frenetiche isole nipponiche conosco persone che iniziano la mia mente
alla meditazione e agli stupefacenti. Progredisco e vedo la verità
che imbeve il mio spirito; decido di abbracciarla.
Grazie
alle sostanze giuste il mio corpo, inutile involucro e ostacolo,
muore. L'energia vitale oltrepassa i confini di questo misero mondo.
Gli dèi sono accoglienti e sono per l'eternità al loro servizio con
le sembianze di una Vila.>
Gorislav
Zimin attonito e senza parole spera ancora di sognare; forse è un
incubo.
Ma
Vera Doronin continua a parlare; la sua dolce voce entra nel cervello
e lo sospende in attimi infiniti.
<amore,
gli dèi sono generosi. Abbiamo potuto ritrovarci, è magnifico>
I
veli lasciano intravedere lo sguardo oscuro di una donna che nella
notte percorre le strade di Mosca: movimento lento; forse una mano è
tesa verso l'uomo terrorizzato.
Non
è un arto bianco dalle pelle liscia e profumata; si tratta di una
enorme zampa di orso ricoperta da un folto pelo grigio e bianco.
Rapidamente
afferra la gola dell'ufficiale; una morsa corredata dalle lame degli
artigli che fendono la pelle e recidono arterie e vene.
Gorislav
Zimin chiude gli occhi. La sua esistenza è terminata; lo spirito
attraversa il cielo di catrame e raggiunge gli inferi dove tra
caverne e fiumi di lava è destinato a osservare per l'eternità i
propri errori. Senza avere mai la possibilità di rimediare.
Rimangono
un bosco di querce e un cadavere nelle vicinanze di una città senza
figli e priva di abitanti dove, lentamente, la natura invade le
costruzioni dimenticate.
Ariy
Grishin, ministro per l'energia, ha avvisato la solerte segretaria.
Non vuole essere disturbato da nulla e nessuno nelle prossime ore.
Rinchiuso in ufficio, le tende abbassate chiudono fuori il mondo,
esamina l'ennesimo rapporto relativo a una spedizione a Ostvosk.
Come
sempre tutti morti. Uccisi tra di loro, suicidi e alcuni disertori
investiti e deceduti in incidenti stradali.
Tutto
perfetto, altri maledetti dannati sono agli inferi.
Peklenc,
dio del sottosuolo, osserva il corpo che abita e i buffi indumenti
che indossa; nel corso delle ere ha avuto la possibilità di
possedere un numero infinito di umani. Ma un ministro, un politico
come li chiamano, è la prima volta. Lo trova divertente, ride
silenziosamente.
Il
dono di Svarog, la Vila Vera, è uno splendore. Potente e devota;
doveva proprio esaudire il suo unico desiderio: condurre nel mondo
oscuro un umano in particolare.
Alla
fine dei conti per Peklenc è sempre uno spirito da sfruttare.
Ora
deve tornare a fare il ministro. Prepara la richiesta urgente per una
nuova spedizione esplorativa da inviare a Ostvosk, frontiera tra il
mondo dei viventi e il suo sotterraneo regno.