mercoledì 14 gennaio 2015

ALL' ALTRO ESTREMO DEL CONDOTTO

--NOTA-- elementi anagrafici/fisiologici/personali scrivente dichiarati in nanosked solidale a questo inforek --OGGETTO—fine cosmonave esplorazione profonda “Albert Einstein” –DESTINATARIO—tutti coloro in grado di capire/NO CLASSIFICATO/NO SEGRETO – POSIZIONE pianeta/data/ora/ elementi sconosciuti –FINE--

L’umanità, con una lenta e lunga partenza, ha intrapreso le vie dello spazio. Raggiunto pianeti, sistemi stellari, terraformato e fondate nuove civiltà. L’ultima frontiera dell’esplorazione è oltrepassare le barriere dimensionali; piegare il vuoto cosmico, perforarlo, aprire un condotto dimensionale ed uscire all’estremo opposto.
In orbita intorno a Marte hanno assemblato lo strumento per questa operazione. Con 5 anni di lavoro intenso è nata la cosmonave per esplorazione profonda “Albert Einstein”. Costruzione finanziata dalla Fondazione Scientifica Universale del sistema Solare; ricerca, sviluppo, assemblaggio e collaudo affidati al consorzio SuperCosmo.
Una lunga serie di moduli sferici e elittici connessi tra di loro uniti a un esile struttura a traliccio. Al centro dell’allineamento due corone circolari controrotanti a grande raggio assicurano la desiderata gravità artificiale. La sagoma delineata dalle luci di posizione, il profilo segnato dagli innumerevoli sensori e una intelligenza artificiale a rete distribuita. Questo il corpo della macchina.
Nel cuore 3 generatori a plasma ionico. Quasi soli artificiali; prodigiosi e complicati forniscono energia e forza bruta per la propulsione stellare.
Ultimata la “Einstein” ha rivelato le enormi dimensioni. Definita non una astronave ma una stazione spaziale a elevata mobilità accoglie e protegge dalle insidie delle galassie un equipaggio di 1.325 persone.
Addetti alla navigazione, specialisti, scienziati e un giornalista scientifico, io; incaricato di lanciare verso la base nel sistema solare accurati resoconti dell’ impresa per soddisfare la curiosità della intera umanità.
Dopo 6 mesi di preparazione intensiva trascorsi in aule e simulatori della Alta Scuola di navigazione Spaziale inizia la grande avventura professionale della mia vita.
La cosmonave attraversa lo spazio sicura gestita automaticamente dal sistema di controllo. Solo un lieve e breve sussulto quando alla massima potenza entriamo nel condotto; all’uscita troviamo un altro universo apparentemente simile a quello conosciuto.
Un dolce brindisi collettivo e procediamo tra le stelle; abbraccio Amelianna, ingegnere motorista.
Complice una intervista siamo diventati amici. Sempre più stretti e poi inseparabili; la mia storia d’amore tra le nebulose.
Splendido e magnifico; più che una esplorazione vivo una comoda crociera.
Fumo. Filtra silenzioso dalla porta della comoda cabina dove alloggio. Sono con Amelianna che dopo qualche istante ha i grandi occhi azzurri irritati. Mi brucia la gola, tossisco.
Facciamo cadere la scacchiera, usciamo nel corridoio centrale del ponte 0A7. Il mio bellissimo ingenere motorista osserva uno dei tanti pannelli, installati ovunque, che illustrano gli stati principali della “Albert Einstein”.
Con tono professionale, distaccato e il volto terreo dice che è finita; uno dei generatori a plasma ionico è un sole invecchiato rapidamente.
La sua distruzione è vicinissima e inghiottirà l’intera cosmonave. Afferma che devo andarmene; lei vuole e deve aiutare il resto dell’equipaggio.
Non voglio lasciarla, per un attimo mi fissa; e lancia un pugno sul mio volto. Quasi tramortito sono spinto all’interno di una capsula di salvataggio.
Dolore al volto. Vista annebbiata; sento il rumore della detonazione della cariche esplosive che fratturano gli attacchi. Le orecchie sibilano, la capsula è proiettata nello spazio; improvvisamente sono in assenza di gravità e fluttuo.
Urto qualche cosa e perdo conoscenza.
Torno allo stato cosciente; sono bagnato di sudore e segnato da lividi.
La capsula di salvataggio si è posata sul suolo del più vicino pianeta in grado di accogliere forme di vita umane; questo è il programma del dispositivo.
Base rettangolare, i lati corti raggiati, pareti esterne leggermente ricurve verso la parte alta più stretta della base. Sgraziata e funzionale è anche una unità di sopravvivenza; applicati all’esterno motori a razzo modulari controllano l’assetto e frenano la discesa.
I sensori quantici a lungo raggio rilevano le caratteristiche dei corpi celesti e il sistema di controllo dirige verso un mondo abitabile a portata di mano.
Sono sempre stato incosciente. Non ho idea di quanto è occorso per completare questo viaggio di sola andata.
Queste unità portano in salvo l’equipaggio esaurendo completamente le risorse che le rendono mobili. Devo attendere i soccorsi.
La capsula contiene materiale, attrezzature e riserve per lo stazionamento di 2 anni per 4 persone.
Sono solo, circondato dall’abbondanza della disperazione.
Apro il portello; scivolo all’esterno. La vegetazione è fitta, intensa.
Ovunque io sia mi trovo nell’equivalente del giorno; all’orizzonte 2 soli bianchi campeggiano nel cielo lievemente verde. Irradiano una luce intensa.
La capsula presenta segni di carbonizzazione e surriscaldamento dovuti all’entrata nell’atmosfera del pianeta.
Sono fortunato; il calore non ha incendiato tronchi e arbusti.
Le funi dei paracadute di frenata, stesi come grandi stracci gialli e blu, pendono lungo i lati. Guidano la vista alla loro origine, al centro dei residui degi involucri sferici grigi, dove sono alloggiati ripiegati.
Tra le posizioni dei paracadute vedo una fune tesa nell’aria, lunga circa 50 metri. Trattiene un pallone di segnalazione bianco e arancione del diametro di 5 metri.
Gonfiaggio automatico all’impatto; utile per l’avvistamento ottico.
Al contatto strumentale sono dedicati 3 radiofari indipendenti sempre in funzione attivati al distacco dalla cosmonave.
Respiro a fondo, l’aria è fresca e leggera; osservo le piante con parecchi rami carichi di frutti sconosciuti.
Il sistema di autoanalisi biologica li indica come commestibili; non morirò di fame, e forse non rischio la sete. La superficie presenta una miriade di piccole sorgenti di acqua limpida, trasparente.
La verifica con il kit di reagenti chimici conferma la potabilità.
Il silenzio è inquietante. Non vedo animali, o loro tracce. Assenti gli insetti. Nessuna forma di vita evoluta.
I soli tramontano; i gruppi fotovoltaici applicati alla capsula sono efficienti. Il cielo è uno sfondo nero punteggiato da stelle arancioni.
Dopo la notte affronto un altro giorno. Cammino nell’erba alta, a volte inciampo in arbusti bassi e insidiosi; giro intorno a gruppi di grandi alberi con i tronchi contorti e aggrovigliati tra di loro.
Il suolo diventa progressivamente brullo, grigio e cosparso di pietre.
Ho alle spalle quello che sulla terra definiamo un bosco; all’orizzonte intravedo una costruzione. Allungo i passi, mi avvicino trepidante.
Altri esseri viventi riuniti in civiltà. Forse sono in grado di aiutarmi.
Un muro, una semplice alta e larga parete. La forma ricorda un trapezio scaleno; la consistenza e il colore sono simili al cemento.
Quasi al centro un portale; distribuite sulla superficie a diverse altezze delle aperture. I loro perimetri sono poligoni irregolari.
Questo muro inspiegabile non è liscio, è ricoperto di rilievi. Questa l’impressione a distanza. Visti da vicino sono inequivocabilmente teschi.
Di forma e probabilmente origini diverse. Ma tutti umanoidi.
Il visore del rilevatore di temperatura ambiente incorporato nella tuta indica un temperatura gradevole. Io ho freddo, sono gelato e sudato.
Avvicino agli occhi il binocolo. Ruoto per 360°; non vedo nessuno. Meglio.
Massimo ingrandimento. Oltre la parete osservo nell’aria nitida un percorso sterrato relativamente largo. Distanziati regolarmente dei portali, rivestiti di ossa, delinano il tracciato che termina in una piazzola segnata da residui e carbonizzazioni di combustione.
Motori a razzo. Questo luogo è visitato, forse con una buona frequenza.
Paura, l’unica sensazione di questo momento. Ancestrale, brutale.
Noi abitanti della terra. Sempre alla ricerca del contatto; tutte le nostre dotazioni sono brillanti, colorate, fosforescenti.
Vogliamo essere visti. Desideriamo comunicare. A nessuno è mai passato per la mente che in qualche altro universo possano esistere forme di vita non vogliono tutto questo; espressioni di civiltà in attesa di distruggere e fare a pezzi gli altri.
In questo mondo io sono un alieno. E ora, in qualche luogo, è in fase di organizzazione una grande caccia mortale all’essere sconosciuto.
Respiro a fondo e corro alla capsula di salvataggio.
Sono arrivato al portello, entro e chiudo. Le mani e le gambe tremano.
Mi lascio cadere sul pavimento; rimango coricato e tento di riprendere una respirazione normale.
Disattivo radiofari e illuminazione. Esco, calo il pallone di segnalazione; lo sgonfio, lo distruggo e raccolgo i paracadute.
Taglio rami, sradico arbusti e mimetizzo il rifugio. Entro, blocco l’ingresso e nell’oscurità attendo un'altra notte.
Ho al mio attivo 6 mesi di corso. Non ho preparazione difensiva; I pensieri raggiungono Amelianna; proveniva dalle forze armate.
Lei saprebbe cosa fare. Spero che abbia raggiunto la salvezza; il ricordo è spaventoso, sembra un riverbero del passato remoto.
I soli sono di nuovo alti; un nuovo giorno. Voglio evitare la morte il più a lungo possibile; per vendere cara la pelle devo conoscere meglio l’ambiente che mi circonda.
Con circospezione mi avventuro nuovamente nella vegetazione fitta.
Fermo in una radura osservo l’orizzonte. Cerco una collina, o un rilievo, che mi permettano di vedere dall’alto.
Nulla, tutto è incredibilmente pianeggiante. Poi una sensazione apre la mia mente. Mi chiamano, ma le orecchie non percepiscono suoni.
Giro di nuovo lentamente le spalle e vedo gli abitanti di questo mondo. Sono in 5. E io non riesco, anzi non voglio muovermi.
La mia mente vede che non vogliono farmi del male. Loro hanno aperto il mio cervello.
Telepatia; una astrazione scientifica, ora è realtà. La comunicazione mentale non ha bisogno di lingue e interpreti, avviene immediatamente per immagini. Istantanea e visuale.
Desiderano spiegarmi; con i pensieri creo uno schizzo dal significato: sono d’accordo, finalmente.
Una pausa, e li osservo esteriormente. Sono umanoidi sicuramente, con quattro arti e una testa. Per il resto ognuno ha colori della pelle, conformazione scheletrica, muscolare ed espressioni facciali diverse.
Similitudine di base associata a una diversificazione individuale.
Indossano indumenti che sono, o erano uniformi. Nelle mani, tra le varie categorie di dita, stringono oggetti che probabilmente sono strumenti scientifici.
Presumo che non abbiano armi. Sembrano stanchi, siamo tutti esausti.
Sediamo tutti nell’erba della radura. Tre di loro addirittura si coricano comodamente.
Vedo di nuovo il flusso di informazioni . . .

. . . persona venuta da un altro universo, il mio nome è Tmaak. Sono profondamente rattristato per la tua sorte che tu non volevi.
Preghiamo gli spiriti: che possano almeno attenuare le tue sofferenze.
Per aiutarti a comprendere devo partire dalle origini degli eventi.
Questo è il pianeta Bsen. Uno dei 12 che compongono il sistema planetario dei soli identici.
In tutti i corpi celesti vivevano popolazioni dedite al lavoro, allo studio e al commercio. Il progresso aveva reso facili gli spostamenti interplanetari.
Un arco temporale breve e i 12 pianeti erano diventati una sola nazione, con unico governo. La prosperità sembrava eterna. Sottilmente, invisibili, le crepe del disatro erano presenti.
Le scuole filosofiche moltiplicarono il loro numero manifestando intolleranze reciproche. Influenzavano l’assemblea centrale e i governi locali.
Ognuna predicava la propria singola legittimazione e l’esclusione delle altre. Le divisioni, le fazioni e la guerra; questo il loro futuro e il nostro passato.
Intere generazioni nate e allevate per morire in infinite battaglie. Combattute con ogni genere di armi. Dalla superficie dei pianeti al vuoto astrale.
Radiazioni, carestia, distruzioni, deformazioni, mutazioni. Questo è rimasto; insieme al male che colpisce ancora.
Con i nostri limitati strumenti abbiamo seguito l’avvicinamento al nostro sistema del veicolo spaziale dal quale provieni.
Abbiamo sperato . . . ma avete attivato un mina elettrostatica a occultamento olografico.
Sono tante, e non conosciamo con precisione la posizione di tutte. L’ologramma acquisisce e simula l’aspetto del cosmo e le rende invisibili all’osservazione. Hanno un dispositivo predisposto per ingannare i sensori di rilevamento.
L’attivazione, innescata da un apparecchio di vicinanza, genera un impulso elettrostatico di elevata potenza; danneggia e altera i sistemi di controllo rendendo ingovernabile il veicolo spaziale colpito.
Nel vostro caso ha creato delle condizioni che hanno portato alla distruzione totale.
Siamo profondamente addolorati. Tu sei l’unico superstite; abbiamo implorato a lungo gli spiriti perché assistano il ricordo dei tuoi compagni di viaggio.
Bsen è il luogo dove la vita ha ancora qualche possibilità. Il conflitto interminabile ha cancellato quasi tutti gli abitanti dei pianeti.
I rimasti vivevano nel sottosuolo, in caverne protette. Tentavano di rallentare l’arrivo delle contaminazioni.
Questo corpo cosmico era degradato, ma l’atmosfera respirabile.
Per non essere assorbiti dall’oblio, allora la guerra è cessata; nessuna memoria della causa. Stirpi di gente morta, questa la storia vera.
Viviamo tutti in questo luogo. Gli altri 11 pianeti sono abbandonati. Le loro superfici avvolte nei miasmi della morte e custodite dai fantasmi ; in questo tempo non sappiamo se troveremo il modo di renderli di nuovo mondi vivi.
Il suolo di Bsen è lentamente recuperabile. Come vedi siamo riusciti a fare sgorgare l’acqua e la vegetazione cresce.
Viviamo di vegetali, e i curatori sviluppano medicine dalle erbe. Non esistono altre forme di esistenza minori; le abbiamo perse per sempre.
La tua forma di vita è molto simile alla nostra; puoi cibarti in tranquillità e i curatori potranno avere l’onore di occuparsi della tua salute.
Ringraziamo gli spiriti per questa benevolenza.
Puoi continuare a vivere dove sei arivato. Oppure trasferirti in un altro luogo o in qualche villaggio. I regolamenti sono uno sbiadito ricordo del passato; siamo in pochi e il territorio è vasto.
Noi chiamiamo questo luogo il “monumento”.
Ora l’aria trasporta il silenzio ma in un altro momento sono esistiti i rumori e i bagliori della battaglia. Uno scontro tra le armate di 3 fazioni; una lotta feroce senza alleati.
Alla fine nessuna vittoria e sconfitta per tutti. Le armi termiche avevano lasciato incendi indomabili; centinaia di migliaia di cadaveri, il ricordo dello scontro, è stato abbracciato dal fuoco.
Sono rimaste le loro ossa. Le abbiamo seppellite quasi tutte; una parte sono diventate il “monumento”. Simbolo e percorso per non dimenticare mai la follia che ogni giorno pervade i nostri organismi.
Per gli eredi perché vedano sempre le conseguenze del male.
Il nostro sistema genetico è instabile. Nell’arco della esistenza mutiamo colore della pelle, altezza, e tante altre caratteristiche fisiche e sensoriali più volte.
Molti vivono, alcuni muoiono presto. Forse nell’arco di 10 o 12 generazioni ritorneremo stabili. Forse . . .
Non disponiamo più delle nozioni scientifiche e dei mezzi per riportarti nel tuo mondo.
Purtroppo condividerai la nostra sorte. Così è il destino disegnato dagli spiriti . . .

Verità, cruda e diretta. La nuova realtà della mia esistenza; noi che abbiamo accettato l’imbarco sulla “Albert Einstein” abbiamo previsto tutti la possibilità di sparire per sempre nello spazio.
Una ipotesi remota, riposta in un profondo cassetto della mente.
Esiste; il resto dell’equipaggio della cosmonave non è arrivato a queste sensazioni, è diventato pulviscolo cosmico.
La fortuna mi ha assistito, posso vivere.
Per qualche istante penso alla storia dell’ umanità; una sequenza di guerre infinita inervallate dalla pace tesa.
Tante volte vicini all’inizio del processo di distruzione reciproca. L’annientamento della vita; lentamente, nel corso dei secoli, tutto è stato superato.
Il genere umano è riuscito a cambiare strada, ha evitato la propria fine.
In questo universo, all’altro estremo del condotto, sono andati fino in fondo.
Siatema solare, terra. Non avete idea del grande privilegio concesso dal destino; la pace duratura senza passare tra le spire di un conflitto interminabile.
Devo andare alla capsula di salvataggio. Insieme a tutti loro; vedremo se tra gli equipaggiamenti esiste qualche attrezzatura utile alla mia nuova gente.
Ora sono un abitante di Bsen; addio pianeta azzurro.

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